sabato 14 aprile 2012

È davvero l'italia che vogliamo?

Il governo dei professori si accanisce sempre più sull'articolo 18 per ridurre il costo del lavoro e stimolare così gli investimenti stranieri in Italia. Questa però è una politica assolutamente fallimentare per un paese come il nostro. Noi infatti vogliamo esportare conoscenza e non bracciali per compiere i lavori più pesanti, meno specializzati e dunque meno remunerati. 

Secondo statistiche pubblicate negli scorsi giorni l'italia è già la nazione europea con il costo del lavoro più basso di tutti, inferiore anche a quello di spagna e Portogallo. Siamo la Cina dell'europa e, a rigor di logica dovremmo essere una delle economie più briose e ricche di appeal dal punto di vista economico, tuttavia non è così. 

Perché?  Perché i nostri lavoratori sono sottopagati ma i cinesi e gli indiani hanno salari ancora più bassi che però non siamo in grado di eguagliare. Dunque è necessario gareggiare sul campo dell'innovazione e della specializzazione, elementi che portano marginalità più elevate. Il problema perciò non è quello dei salari degli operai o degli impiegati, ma l'allocazione delle risorse e degli investimenti da parte degli imprenditori e dello stesso stato. 

La politica industriale italiana è però giunta al punto più basso della storia: il rapido declino è iniziato quando l'Olivetti non ha trovato terreno fertile per vendere i suoi prodotti. È quindi difficile cambiare la visione delle piccole e medie imprese dell'economia e della produzione. 

Una scelta di questo tipo comporterebbe certamente investimenti cospicui da parte dello stato, ma porterebbe, nello spazio di pochi anni, un extra gettito derivate dalla produzione e dalla vendita di prodotti più innovativi ed apprezzati sui mercati internazionali. 
Non male per dare ossigeno alle casse pingui dello stato......

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